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NOTTING HILL
(NOTTING HILL)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 12 settembre 1999
 
di Roger Michell, con Julia Roberts, Hugh Grant, Hugh Bonneville, Emma Chambers (Gran Bretagna, 1999)
 
Di tutte le favole, quella di Cenerentola è non solo la più amata, ma la più conosciuta. Se la nota venerazione dei cinesi per gli attributi estetici per non dire sessuali delle nostre estremità inferiori fa risalire a loro le origini di una passione popolare rimasta nei secoli, per quanto concerne specificatamente la mitica pantofola pare che già gli egiziani, tre secoli prima di Cristo ne fabbricassero di preziosissime. E per caricarle di significati, già allora, che trascendevano quelli normalmente attribuiti ad una banale calzatura. Se poi qualcuno come lo psicanalista Bruno Bettelheim (in "The uses of Enchantment", 1976) è giunto a collocare Cenerentola addirittura al centro della famiglia o, meglio, del nodo di angosce, tensioni e rivalità fra fratelli e sorelle, a farne una delle chiavi per risollevarsi dalle "ceneri" di tutta una serie di innate frustrazioni esistenziali, ecco spiegata una parte dell'importanza che questa favola ha avuto nella storia dell'umanità. E nel cinema. Sempre pronto a precipitarsi su tutto quanto potesse servirgli da supporto ideologico nel corso di questo suo affrettato secolo.

Sarà per mere ragioni pragmatiche, sarà perché in fondo non molto dissimile da quell'altro mito di predilezione, il Sogno Americano (aiutati, che Dio e lo zio Sam finiranno per scovarti un Principe Azzurro), il fatto è che quasi tutta la commedia cinematografica sembra essersi costruita sulla problematica, se proprio vogliamo chiamarla cosi, cenerentoliana.

NOTTING HILL di Roger Michell, commedia brillante che sta sconvolgendo per l'ennesima volta i calcoli dei botteghini oltre che promosso un turismo di addetti alla reliquia cinematografica verso il quartiere londinese in questione, non sfugge alla regola. Con la sola differenza di essere costruito alla rovescia: lui cenerentolo, lei principessa azzurra. Lui, piccolo libraio squattrinato sulla piazzetta che ha visto decuplicati gli affitti dall'epoca delle riprese del film. Lei, pretty woman scusate se è poco, con il sorriso capace di mettere a tacere ogni inverosimiglianza scenaristica, star hollywoodiana inseguita dal solito codazzo di fotografi, ammiratori ed addetti a pseudo lavori. Lei, che si rovescia l'aranciata sulla minigonna, lui, che per imbranato che sia non perde di vista il fatto di abitare proprio di fronte; oltre che di essere provvisto di smacchiatore.

Intendiamoci, non è che il travolgente successo di NOTTING HILL nasca dalle medesime incongruenze che governano la sua trama. Piuttosto, proprio dalla grazia di quelle. E dei due protagonisti; Julia Roberts, non solo ovviamente deliziosa, ma totalmente identificata al proprio personaggio. Raramente, forse dai tempi della Audrey Hepburn di VACANZE ROMANE si ricorda una star che interpreti sé stessa con altrettanta convinzione. Non tanto cercando di risolvere il quesito di una situazione che non deve angosciare la maggioranza della popolazione: come conciliare le esigenze del cuore con quelle professionali di un idolo mediatico. Quanto ricalcando, con freschezza di seduzione, tutta la forza di una immagine che, da PRETTY WOMAN a QUATTRO MATRIMONI ED UN FUNERALE si è imposta con facilità disincantata. Hugh Grant, altrettanto a suo agio, è più che aiutato da una serie di dialoghi perfetti ed a tratti esilaranti; come solo la tradizione anglosassone sembra ormai capace di proporre (e che sembra quasi ovvio raccomandare di godere nella versione originale!). Alla riuscita del film concorre la sceneggiatura di Richard Curtis (QUATTRO MATRIMONI), una serie di personaggi secondari piuttosto azzeccati e di alcune situazione originali all'interno dello schema arcinoto: prima fra tutte, quella di Grant obbligato a dire la sua di un film della bella che non si è mai sognato di vedere.


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